Le tecniche di miglioramento genetico possono finalmente diventare realtà
“Sosteniamo da tempo che l’unica strada per sconfiggere le fitopatologie più aggressive, resistere ai cambiamenti climatici e rendere dunque le colture più sane e produttive, passa attraverso il miglioramento genetico varietale. Ora potrebbe esserci un futuro per queste tecniche sicure, che sono tutt’altra cosa rispetto agli OGM” – commenta Stefano Calderoni, presidente di Cia-Agricoltori Italiani Ferrara dopo l’approvazione alla Camera della mozione che impegna il Governo a sostenere il settore agroalimentare con le Tecnologie di evoluzione assistita (Tea) – genoma editing e cisgenesi in particolare – coinvolgendo istituti di ricerca e università.
“Con questo primo step – continua Calderoni – si dà il via a una ricerca pubblica su quelle tecniche, che ormai sono diventate essenziali, che consentono di modificare o rimpiazzare con grande precisione piccole parti della sequenza del Dna degli organismi viventi, senza spostarla dalla sua posizione naturale nel genoma. Quindi senza inserire o modificare con geni provenienti da specie diverse, ma modificando quello che c’è per consentire alla pianta di combattere meglio malattie, avversità climatiche e di essere più sane per il consumatore. Penso, sul nostro territorio, all’impatto di queste tecniche sulle nostre varietà di pere, che le renderebbero resistenti alla maculatura bruna o non appetibili per la cimice asiatica, cambiamo “semplicemente” una infinitesimale porzione del loro Dna. Sarebbe una conquista straordinaria che porterebbe a una maggiore disponibilità di cibo e darebbe agli agricoltori quella redditualità e possibilità di investire che sta mancando da troppi anni. Dispiace solo che queste risoluzioni – afferma il presidente di Cia Ferrara – siano quasi sempre prese quando ci troviamo con l’acqua alla gola. Di fronte all’eventualità di una crisi alimentare mondiale provocata dalla guerra in Ucraina, dai cambiamenti climatici e anche dalla pandemia si devono prendere decisioni emergenziali, ma certamente lavorare prima, con progettualità e lungimiranza, avrebbero sbloccato da anni diversi progetti di ricerca molto promettenti sulle nuove tecnologie, fermi perché ostacolati dalla legislazione europea sugli organismi geneticamente modificati (direttiva 2001/18/CE).”
Un’altra buona notizia –– spiega il presidente di Cia Ferrara – sono i quattrocento milioni di euro per costituire il Centro Agritech, l’hub della ricerca in agricoltura, uno dei 5 previsti dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Parteciperanno venticinque università italiane, tra le quali anche quella di Bologna, e l’obiettivo sarà quello di fare ricerca – su genetica, riduzione della chimica, economia circolare sviluppo dei territori, qualità e tracciabilità delle produzioni – legata al trasferimento tecnologico, per renderla concreta e applicabile per l’agricoltura e l’agroindustria. Non è la prima volta: negli scorsi anni enti privati, in particolare un gruppo di fondazioni bancarie, ha sostenuto la ricerca per l’agroalimentare nelle università italiane nell’ambito del progetto Ager – Agroalimentare e Ricerca, e ha poi finanziato il trasferimento delle innovazioni per il settore vitivinicolo, zootecnico e la filiera del grano duro. Ottime iniziative che troveranno pieno compimento con questo nuovo hub, dove ci sarà una forte componente pubblica e i fondi saranno strutturali per consentire, speriamo, quel cambiamento “epocale” che consentirà agli agricoltori di usare la scienza per innovare, migliorare la produttività, produrre in maniera più sostenibile e avere un reddito che consente non solo la sopravvivenza ma la crescita vera del settore agricolo”.