L’abbandono della pericoltura: in 10 anni persi oltre 6mila ettari in Regione
I dati elaborati dall’Istat sull’andamento delle superfici coltivate a pero in Emilia-Romagna sembrano tracciare in maniera inesorabile il destino di una delle produzioni tipiche ferraresi. Dal 2013 al 2022 siamo passati da circa 22mila ettari a poco più di 15mila e anche nel 2023 non si fermano gli estirpi su tutto il territorio ferrarese, in particolare della varietà Abate.
Un fenomeno che sta colpendo i produttori di Cia-Agricoltori Italiani Ferrara che sono costretti a estirpare a causa di un mix “letale”: patologie fitosanitarie e cambiamenti climatici che portano a forti cali produttivi e costi di produzione non coperti dai prezzi pagati all’origine. Una situazione che sta facendo scomparire la pericoltura “Made in Ferrara”, come spiega Jennifer Felloni, frutticoltrice e membro della Giunta dell’associazione.
“I dati diffusi dall’Istat sono lo specchio di quello che è ormai sotto gli occhi di tutti: le campagne una volta fitte di pereti e ora “vuote”. Espiantare un frutteto ancora produttivo è per un agricoltore un atto estremo e “doloroso” perché significa cancellare anni di lavoro, ma – continua Felloni – non ci sono alternative quando, non solo non c’è reddito, ma si va in perdita. Nel 2022 nella mia azienda sono andati in fumo circa 3mila euro a ettaro, ma in altre realtà si è arrivati anche a meno 5mila. Sono i costi di produzione a pesare di più sui bilanci: quelli dei prodotti fitosanitari in costante aumento così come le lavorazioni, come quella del cotico erboso per contenere la maculatura bruna; i sistemi per limitare la cimice asiatica; l’irrigazione a fronte di una siccità che continua a non dare tregua. E poi c’è la manodopera: l’anno scorso ho dato lavoro per 800 giornate e non ho avuto nessuna agevolazione, solo qualche piccolo sgravio fiscale. A questo si aggiunge il costo proibitivo delle assicurazioni agricole e franchigie elevate che rendono gli indennizzi molto difficili. Un insieme di oneri diventati insostenibili – continua la produttrice – ai quali si aggiunge la speculazione lungo filiere, dove il prezzo dell’Abate, dal campo alla tavola, aumenta di quattro o cinque volte.
Come si fa a continuare a produrre pere in questo sistema che non valorizza la produzione primaria? Da molti anni denunciamo le difficoltà del comparto, ma le nostre parole cadono nel vuoto o ci vengono proposte soluzioni a lungo termine, come la ricerca genetica no OGM per trovare piante più resistenti alle patologie e ai cambiamenti climatici che però è ferma nei laboratori perché a livello di Commissione europea non esiste ancora una regolamentazione che consenta l’applicazione in campo. Eppure, qualcosa si potrebbe fare subito: penso alla corretta applicazione delle norme sulle Pratiche Sleali che vieta a chi commercializza di pagare i prodotti agricoli al di sotto dei costi di produzione. Possiamo anche sollecitare le strutture a cui conferiamo i prodotti perché studino strategie che permettano di ridurre i costi del post raccolta che gravano pesantemente sui produttori. In questo contesto, poi, sarebbero fondamentali una serie di incentivi urgenti per le aziende che scelgono di non espiantare frutteti sani e produttivi – conclude la produttrice – per incentivarle a continuare a produrre. Azioni concrete per salvare il comparto che però non sembrano essere una priorità della politica, quasi che nessuno si renda davvero conto che i pericoltori non possono più aspettare perché il comparto sta scomparendo velocemente”.