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La cipolla “senza prezzo”

Un’annata nera, anzi nerissima anche per la campagna produttiva della cipolla, che sta mettendo in ginocchio le aziende agricole e facendo perdere migliaia di euro di reddito. Il problema, davvero molto grave, riguarda la richiesta di prodotto e di conseguenza il mercato: in sostanza la cipolla non viene quotata perché il prezzo sarebbe troppo basso e manderebbe in tilt l’intera filiera. Al collasso però sono già i produttori, come spiega il presidente di Cia – Agricoltori Italiani Imola, Giordano Zambrini.

“La raccolta della cipolla – spiega Zambrini – è quasi terminata e le prime considerazioni sul suo andamento sono assolutamente negative per le nostre aziende agricole. La richiesta e quindi la percentuale di prodotto venduta è al minimo storico, complice forse anche la minore richiesta da parte degli operatori della ristorazione – per quasi tutti i prodotti ortofrutticoli c’è una flessione – e i magazzini sono pieni di scorte. Come accade quando c’è molto prodotto il prezzo è tendenzialmente più basso, si tratta di una logica di mercato molto semplice, ma qui siamo oltre questa dinamica. Perché il prezzo alla produzione non è solo basso, ma non c’è, non viene stabilito dalle commissioni preposte alla quotazione. In questo contesto, come è ovvio, le aziende agricole si trovano con tonnellate di cipolla invenduta o che magari riescono a piazzare per pochi centesimi. Considerando – continua Zambrini – che il costo di produzione si aggira intorno ai 5.500 euro per ettaro e visto che, in assenza di quotazioni di riferimento, viene pagata dai 6 agli 8 euro al quintale, la perdita per ettaro è di circa 2.000 euro. Migliaia di euro che per gli agricoltori sarà praticamente impossibile recuperare, che li porta al limite del collasso economico.

Il presidente di Cia Imola, in questo contesto, ribadisce la responsabilità delle aziende di trasformazione e commercializzazione della filiera della cipolla.

“Sappiamo che è difficile individuare, come accade ad esempio per il pomodoro da industria, un prezzo concordato alla produzione. Ma le strutture che si occupano della trasformazione e della commercializzazione non possono prosperare sul “cadavere” dei bilanci in rosso delle aziende agricole. Non è pensabile che continui ad esserci una tale disparità di valore lungo questa e molte altre filiere ortofrutticole. Bisogna – conclude Zambrini – fare tutti un passo indietro per andare avanti, creare nuovi equilibri più virtuosi che consentano alle aziende agricole di investire, produrre, avere un reddito certo e in qualche modo garantito all’interno del sistema agricolo. Gli agricoltori devono tornare a “guadagnare” che non è una brutta parola, ma un diritto di ogni azienda o persona che lavora”.

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