Guerra in Ucraina, pesanti conseguenze per l’agricoltura reggiana
“La guerra in Ucraina sta sconvolgendo quotazioni e mercati e l’economia agricola rischia il cortocircuito, perché le imprese si trovano a lavorare in perdita, con prezzi che non riescono più a coprire i costi di produzione, tra il +500% delle bollette energetiche, il carburante alle stelle e i mezzi tecnici praticamente triplicati. Ma l’agricoltura non si può fermare, è un settore strategico perché garantisce il cibo, le aziende devono essere messe nelle condizioni di poter continuare a lavorare”. Parole di Lorenzo Catellani, presidente CIA Reggio, che interviene su un conflitto che sta arrecando gravi conseguenze anche all’agricoltura del nostro territorio. Lo abbiamo intervistato per approfondire le tematiche.
Come è la situazione per il settore?
“Molto difficile. Il grave contesto internazionale sta provocando serie conseguenze per l’intera agricoltura reggiana, in particolare per cereali, Lambrusco, Parmigiano Reggiano e suinicoltura”.
Partiamo dai cereali. La prima “emergenza” da affrontare, a detta di molti, è quella dell’approvvigionamento di grano e mais…
“C’è grande preoccupazione, soprattutto per quello che riguarda il mais. La guerra ha spezzato la catena degli approvvigionamenti, causando una reazione a catena di alcuni Paesi europei che hanno deciso lo stop dell’export. Noi siamo rimasti all’improvviso senza materie prime. Il nostro Paese è infatti autosufficiente per circa il 50%, quando dieci anni fa la percentuale si attestava sull’80%: è evidente che si è così fortemente esposti alle dinamiche e alle crisi internazionali. Non dimentichiamo che l’Ucraina ai vertici della classifica dei Paesi che esportano mais in Italia. Situazione differente per il grano: la preoccupazione non riguarda l’approvvigionamento ma la forte speculazione sui prezzi…”.
A cosa è dovuto questo ingente calo di produzione Italiana del mais?
“Essenzialmente al drastico calo della redditività che ha costretto tante aziende a chiudere o, nel migliore dei casi, a cambiare il proprio core business. Per invertire la tendenza servirebbe un prezzo minimo garantito a livello statale per contrastare la grande volatilità delle quotazioni”.
Quali sono invece i problemi per il Lambrusco?
“La Russia e l’Ucraina erano Paesi molto interessati al nostro vino. I governi vedevano di buon occhio l’introduzione di un prodotto a bassa gradazione alcolica che andava a sostituirsi ai loro superalcolici. Era diventato un mercato molto interessante per il nostro export. Ora è tutto bloccato…”.
E per quanto riguarda il Parmigiano Reggiano?
“Il re dei formaggi sta soffrendo moltissimo il vertiginoso aumento dei costi di produzione. Rispetto all’anno scorso, produrre un quintale di latte costa 15 euro in più (aumento del 40%) a causa del netto incremento dell’alimentazione per le bovine, aggravato dalla siccità. E naturalmente l’import dalla Russia è fermo”.
Problemi si stanno avendo anche in altri comparti?
“La suinicoltura, già in crisi da mesi a causa della peste suina e dalla mancata valorizzazione delle carni, sta subendo gravi contraccolpi: tante aziende stanno riducendo gli allevamenti, quelle che erano più in difficoltà stanno chiudendo”.
I cittadini troveranno rincari sugli scaffali?
“L’intera filiera sta cercando di contenere gli aumenti. Non può naturalmente farsi carico in toto e quindi un minimo di ritorno sullo scaffale ci sarà. Ma il consumatore ha un grande potere: evitare le speculazioni avvicinandosi sempre più al produttore tramite la vendita diretta, i mercati del contadino e le filiere garantite”.